giovedì 29 agosto 2013

Estratto da La Caduta, Camus



Visto che piove più forte ed abbiamo tempo, potrei permettermi di confidarle un'altra scoperta che feci, poco dopo, nella mia memoria?
Sediamoci al riparo su questa panca. Di qui, da secoli, fumatori di pipa contemplano la medesima pioggia che cade sul medesimo canale. Quel che le debbo raccontare è un po' più difficile. Questa volta si tratta di una donna. Prima però deve sapere che sono sempre riuscito bene con le donne, e senza gran fatica. Non dico riuscito a farle felici, e neppure a sentirmi felice per mezzo loro. No, semplicemente riuscire. Raggiungevo i miei scopi più o meno quando volevo. Mi trovavano un certo fascino, pensi un po'! Lei sa che cos'è il fascino: un modo di sentirsi rispondere di sì senza aver posto alcuna domanda chiara. Così ero io, a quei tempi. Si meraviglia? Su, non neghi, è naturalissimo, con la faccia che m'è venuta. Ahimè! dopo una certa età, ognuno è responsabile della propria faccia. La mia... Ma che importa! Fatto sta che mi trovavano del fascino, ed io ne approfittavo. Senza far calcoli, però: ero in buona fede o quasi. I miei rapporti con le donne erano naturali, disinvolti, facili, come suol dirsi.  

Non c'entrava nessuna astuzia, o solo quel tanto, evidente, che esse reputano un omaggio.
Le amavo, secondo l'espressione consacrata, il che significa che non ne ho mai amata nessuna.
Ho sempre giudicato volgare e sciocca la misoginia, e quasi tutte le donne che ho conosciute, le ho stimate migliori di me. Tuttavia, collocandole così in alto, le ho utilizzate più spesso di quanto le abbia servite. Come capirci qualcosa? Beninteso, il vero amore è eccezionale, due o tre volte in un secolo all'incirca. Per il resto, vanità o noia. Io, comunque, non ero la Monaca portoghese. Son lontano dall'avere il cuore arido, anzi, è pieno di tenerezza, e per di più ho le lacrime facili. Soltanto, i miei slanci son sempre rivolti verso me stesso, le mie tenerezze mi concernono.

In fin dei conti, è falso che non abbia mai amato. Nella mia vita ho avuto almeno un grande amore, di cui sono sempre stato l'oggetto.

Da questo lato, dopo le inevitabili difficoltà della prima gioventù, m'ero rapidamente deciso: la sensualità, ed essa sola, regnava nella mia vita amorosa. Miravo soltanto al piacere e alla conquista. D'altronde ero favorito dal mio temperamento: la natura mi è stata generosa. Ne ero piuttosto fiero, mi procurava molte soddisfazioni, non saprei dire se dovute al piacere o al prestigio. Va bene, lei dirà che mi vanto di nuovo. Non lo nego, e ne sono tanto meno fiero in quanto in ciò mi vanto di quel che è vero. Comunque sia, la mia sensualità, per parlare solo di quella, era così reale che per un'avventura di dieci minuti avrei rinnegato padre e madre, salvo rimpiangerlo amaramente. Che dico! Soprattutto per un'avventura di dieci minuti, e ancor più se avevo la certezza che sarebbe stata senza domani.

Avevo dei principi, certo, e per esempio,la moglie degli amici era sacra. Soltanto, con tutta sincerità,qualche giorno prima smettevo di sentirmi amico dei mariti. […]

A furia di non essere romantico, alimentavo abbondantemente il senso del romanzesco. Le donne infatti hanno una cosa in comune con Bonaparte: pensano sempre di riuscire dove gli altri sono falliti.

Del resto, in quel commercio c'era un'altra soddisfazione oltre alla sensualità: l'amore del gioco. Mi piaceva nella donna la compagna di un certo gioco che aveva almeno il gusto dell'innocenza. Vede, io non sopporto di annoiarmi e nella vita non apprezzo altro che gli svaghi. Ogni compagnia, anche la più brillante, mi abbatte rapidamente, mentre non mi sono mai annoiato con le donne che mi piacevano. Faccio fatica a confessarlo, ma avrei dato dieci colloqui con Einstein per un primo appuntamento con una comparsa carina. E’ vero che al decimo appuntamento agognavo Einstein o delle gravi letture. […] Dunque, io stavo al gioco. Sapevo che a loro non piace che si vada troppo diritto allo scopo. Prima ci vuole un po' di chiacchiere, un po' di tenerezza, come dicono.  Avvocato, non ero a corto di discorsi, né di occhiate, avendo fatto l'attore dilettante durante il servizio militare. Cambiavo spesso parte, ma si trattava sempre della stessa commedia. Per esempio, il numero dell'attrattiva incomprensibile, del «non so che», e del «non ci sono ragioni, io non desideravo affatto sentirmi attratto, ero stanco dell'amore ecc"» era sempre efficace,benché fosse uno dei più vecchi del repertorio. C'era anche quello della felicità misteriosa che nessun'altra donna ti ha mai dato, che forse finirà lì, anzi certamente (non si sta mai troppo in guardia), ma che, appunto per questo, è cosa impareggiabile. Soprattutto avevo perfezionato una tiratina, sempre ben accolta, che lei applaudirebbe, ne sono sicuro. Il nocciolo di questa tirata consisteva nell'affermazione, dolorosa e rassegnata, che io non ero nulla, che non valeva la pena di occuparsi di me, la mia vita era un'altra, non passava per la strada della felicità di ogni giorno, felicità che forse avrei preferito a tutto, ma ormai era troppo tardi. Sulle ragioni di questo decisivo ritardo, tenevo il segreto, sapendo che è meglio andare a letto col mistero. Del resto, in certo senso, credevo a quel che dicevo, vivevo la mia parte. Quindi non deve far meraviglia se anche le mie compagne si mettevano a recitare con calore. Le più sensibili fra le mie amiche si sforzavano di capirmi,e quello sforzo le portava a malinconici abbandoni.  Le altre, soddisfatte di vedere che rispettavo le regole del gioco e avevo la delicatezza di parlare prima di agire, passavano senza indugio alle cose concrete. Allora avevo doppiamente vinto, poiché, oltre al mio desiderio di averle, era soddisfatto l'amore che nutrivo per me stesso nel riscontrare ogni volta il mio bel potere.

Tanto è vero che, anche se taluna mi procurava soltanto scarso piacere, io cercavo nondimeno di riallacciare di tanto in tanto,aiutato senza dubbio da quel desiderio singolare che è stimolato dall'assenza, seguita da una complicità improvvisamente ritrovata, ma anche per assicurarmi che i nostri legami fossero sempre saldi e che stesse soltanto a me lo stringerli di nuovo. A volte, per calmare una volta per sempre le mie inquietudini in proposito giungevo a far giurar loro che non sarebbero appartenute a nessun altro uomo. Ma né il cuore né l'immaginazione partecipavano a quell'inquietudine. Era così radicata in me una certa specie di pretensione, da rendermi difficile, a dispetto dell'evidenza, immaginare che una donna, già stata mia, potesse mai appartenere ad un altro. Il giuramento che mi facevano, vincolandole, mi liberava. Visto che non sarebbero appartenute a nessuno, potevo risolvermi a rompere, cosa che,diversamente, mi era quasi sempre impossibile. L'accertamento, per quanto le concerneva, era fatto una volta per sempre, il mio potere assicurato a lungo. Strano, no? Eppure è così. Vi è chi grida:«Amami!» Ed altri: «Non mi amare!» Ma una certa specie, la peggiore e la più disgraziata: «Non mi amare e siimi fedele!»Però c'è questo, la riprova non è mai definitiva, bisogna ricominciare con ognuna. A furia di ricominciare, ci si prende l'abitudine. Ben presto il discorso ti viene senza pensarci, il riflesso tien dietro: un giorno ci si trova nell'occorrenza di prendere senza davvero desiderare. Mi creda, per certe persone almeno, non prendere quello che non si desidera è la cosa più difficile del mondo.

 […] Quando andavo così considerando la difficoltà di separarmi definitivamente da una donna, difficoltà che mi induceva a tante relazioni simultanee, non la imputavo a tenerezza di cuore. Non agivo per tenerezza quando una delle mie amiche si stancava di attendere la battaglia di Austerlitz della nostra passione e parlava di ritirarsi. Ero io che immediatamente facevo un passo avanti, mi lasciavo andare a concessioni, diventavo eloquente. La tenerezza e dolce debolezza d'un cuore, ero io a destarle in loro; ma personalmente non ne provavo altro che l'apparenza, solamente un po' eccitato da quel rifiuto, ed anche allarmato dalla perdita possibile di un affetto. Talvolta, è vero, credevo di soffrire sul serio. Bastava tuttavia che la ribelle partisse veramente, perché la dimenticassi senza sforzo, come la dimenticavo vicina quando invece aveva deciso di ritornare. No, non era né amore né generosità a risvegliarmi quando c'era pericolo che fossi abbandonato, ma soltanto il desiderio di essere amato e di ricevere quello che secondo me mi era dovuto. Non appena amata, e dimenticata di nuovo la mia compagna, io rifulgevo, stavo a meraviglia, diventavo simpatico. Noti per altro che di quell'affetto, appena riconquistato, io sentivo il peso. [...]

D'altronde, quale che fosse l'apparente confusione dei miei sentimenti, il risultato ottenuto era chiaro: mi conservavo intorno tutti i miei affetti per servirmene quando volessi.

Camus - La Caduta

venerdì 15 marzo 2013

Shatush



Nonostante possa sembrare un argomento frivolo, credetemi, non lo è.
Lo shatush è una piaga sociale.

Mia nonna la chiamava “ricrescita”, mia madre la chiama “ricrescita”, mia cugina lo chiama "shatush".
Cos’è accaduto nel passaggio generazionale? E’ arrivata Belen.

Non me ne vogliate.
Lo shatush non è altro che la manifestazione dell’omologazione seriale al brutto: uno stacco irreale, allucinogeno, che nemmeno David Bowie ai tempi di Aladdin Sane avrebbe osato.

Uno dei cult peggiori degli ultimi tempi, più antiestetico dei macarons gusto mora e violetta, più insensato dei braccialetti Cruciani in collaborazione con Damiani, più stridente del piuttosto che usato come congiuntivo e non avversativo, più deludente dei Coldplay che incidono con Rhianna (perdendo definitivamente la stima residua), più patetico delle pagine “Spotted”, più banale che tatuarsi una frase di Vasco -possibilmente da “Sally”-, più vergognoso di citare Fabio Volo (no, forse questa no), più abusato di questi elenchi che ti fanno sembrare un mostro della retorica. (Perfino Fazio e Saviano avevano rotto il cazzo.)

Il problema, tuttavia, non sta tanto nel voler inconsciamente sembrare un glamster ignorando chi sia Marc Bolan. Il problema non sta nell’estetica (de gustibus), è nel concetto. Orde di fanciulle sfigurate dal camaleontico trend. Siete sicure che vi piaccia? Ho capito che non tutti possono aspirare ad essere Grace Kelly ma perchè ambire ad Iggy Pop?

Cosa? Si chiama moda? Ne sono affetta anch’io “altrimenti non porterei questi occhiali da hipster”? Beh, che c’entra, io voglio sembrare la ragazza di Morrissey, consapevolmente. 

E poi vabbe’, diplomazia, stream of consciousness ed improbabili ricaute sociali a parte, non è vero, il problema è che lo shatush fa semplicemente cagare.