venerdì 15 marzo 2013

Shatush



Nonostante possa sembrare un argomento frivolo, credetemi, non lo è.
Lo shatush è una piaga sociale.

Mia nonna la chiamava “ricrescita”, mia madre la chiama “ricrescita”, mia cugina lo chiama "shatush".
Cos’è accaduto nel passaggio generazionale? E’ arrivata Belen.

Non me ne vogliate.
Lo shatush non è altro che la manifestazione dell’omologazione seriale al brutto: uno stacco irreale, allucinogeno, che nemmeno David Bowie ai tempi di Aladdin Sane avrebbe osato.

Uno dei cult peggiori degli ultimi tempi, più antiestetico dei macarons gusto mora e violetta, più insensato dei braccialetti Cruciani in collaborazione con Damiani, più stridente del piuttosto che usato come congiuntivo e non avversativo, più deludente dei Coldplay che incidono con Rhianna (perdendo definitivamente la stima residua), più patetico delle pagine “Spotted”, più banale che tatuarsi una frase di Vasco -possibilmente da “Sally”-, più vergognoso di citare Fabio Volo (no, forse questa no), più abusato di questi elenchi che ti fanno sembrare un mostro della retorica. (Perfino Fazio e Saviano avevano rotto il cazzo.)

Il problema, tuttavia, non sta tanto nel voler inconsciamente sembrare un glamster ignorando chi sia Marc Bolan. Il problema non sta nell’estetica (de gustibus), è nel concetto. Orde di fanciulle sfigurate dal camaleontico trend. Siete sicure che vi piaccia? Ho capito che non tutti possono aspirare ad essere Grace Kelly ma perchè ambire ad Iggy Pop?

Cosa? Si chiama moda? Ne sono affetta anch’io “altrimenti non porterei questi occhiali da hipster”? Beh, che c’entra, io voglio sembrare la ragazza di Morrissey, consapevolmente. 

E poi vabbe’, diplomazia, stream of consciousness ed improbabili ricaute sociali a parte, non è vero, il problema è che lo shatush fa semplicemente cagare.